Edizione 2005: presentazione di Angelo Paviolo

Per la copertina del volume che raccoglie la selezione delle fiabe concorrenti alla quarta edizione del concorso letterario “Enrico Trione”, la nostra brava illustratrice Graziella Cortese ha scelto di dare vita alla ipotetica fantasia di un atleta giamaicano che non conosce la neve ma ad occhi aperti sogna di partecipare alle Olimpiadi invernali di Torino e (sotto la protezione invero un po’ preoccupata di una dolce fatina azzurra Piemontese che si è sistemata alle sue spalle) , sul bob che spericolatamente scende, su una pista ghiacciata della Valle Susa, vola verso il traguardo e verso la vittoria.

E’ un sogno-fiaba, come quelli che tanti giovani raccontano a se stessi, immaginando vittorie e trionfi, che con ogni probabilità non diverranno mai concreti: perché le possibilità che si verifichino sono tanto scarse da confinare queste fantasie nel regno magico dell’immaginario, senza contatti con la realtà della vita.

Ma sono questi sogni, belli e fantasiosi, che aiutano a superare, con un sorriso e un’illusione, tante difficoltà, la quotidianità dell’esistenza, forse proprio perché quasi sempre vanno a cozzare contro il muro impenetrabile della realtà. Perché non tutti siamo dotati di un organismo adeguato per sostenere l’impresa sognata, non tutte le famiglie offrono le necessarie disponibilità economiche per avvicinare il sogno alla realtà, non tutte le volontà individuali sono così tenaci da resistere a mille tentazioni, non tutte le vele sono sostenute dal vento favorevole della fortuna, che è anch’essa elemento importante per attraversare il mare insidioso del successo.

Ma qualcuno – “uno tra tanti ce la fa” – riesce a sublimare l’immaginazione in realtà, a portarselo sul podio più alto, nel momento mitico dell’esistenza, nel tripudio esaltante della folla, nell’armonia luminosa dell’inno della patria, nel garrire al vento delle bandiere, di quella bandiera, mentre il cuore impazzisce di gioia e gli occhi si velano di commozione e il ricordo ormai dimentica i mille sacrifici, le mille rinunce, i giorni dello sconforto, gli sforzi e le sofferenze per giungere fin lì, su quel palco, nell’esaltazione di quel momento unico e favoloso di applausi, di entusiasmi, di musica.

Questo libro si apre con i ricordi personali di quattro grandi campioni, figli della nostra terra che appartengono soprattutto alla vicenda umana, personale, di ciascuno di loro, ma anche al mito non solo piemontese e italiano dello sport.

In ordine di tempo il primo di questi racconta una delle più belle pagine dell’atletica leggera di tutti i tempi e ci riporta al prodigio quasi inatteso di quello scatto vittorioso sulla terra rossa di uno stadio romano ove un giovane torinese va oltre ogni pronostico, ogni previsione, ogni tempo cronometrico e supera il primato del mondo.

Gli altri tre miti riguardano lo sci azzurro: due (quella di un forte figlio delle valli alpine e quella di una deliziosa ragazza delle colline romane che si è fatta figlia dei nostri monti) si rifanno a quelle discese mozzafiato, pennellate in gare solitarie e perfette nell’aria gelida di montagne straniere, sulla neve ghiacciata di piste infiorate di curve, di dossi, di paletti, ove le conseguenze di un minimo errore e di una istantanea esitazione, di un umanissimo timore o di una generosa esagerazione avrebbero allontanato ogni possibilità di successo che invece è venuto a fare salire sul più alto dei pennoni la gloria del tricolore italiano.

Un altro mito sboccia come un fiore nel gelo dei pianori artici come sulle montagne boscose popolate di magie e di elfi, dove una ragazza di una valle cuneese ha più volte sfidato e spesso vinto, con la leggerezza felice e graziosa di uno scricciolo e con la forza indomita e tenace delle genti alpine, le coalizioni delle grandi atlete nord europee.

Questi quattro preziosi contributi sono anche quattro belle fiabe, con il loro festante finale e con la loro sana morale, che ci raccontano fatiche e sogni che la volontà trasforma in imprese epiche e in stupende realtà, e ci parlano di uomini e donne della nostra terra che nel sentire collettivo si trasfigurano nella luce di un successo senza fine.

Sono quattro fiabe che hanno in sé lo stesso sogno narrato dall’immagine del giovane giamaicano che nel disegno vola verso la vittoria, ma qui i sogni di quattro giovani piemontesi vivono la loro bella, giovane realtà. “Uno su tanti ce la fa” : per gli altri la fiaba resta confinata nel mondo dell’impossibile, nel momento personale, gelosamente custodito, della fantasia, del sogno, del castello in aria, che sono sostanzialmente forme inventate dalla nostra anima per superare la difficoltà e le monotonie quotidiane: un mondo alle quali, anche inconsciamente, ognuno di noi ricorre e in cui si rifugia non solo nella prima infanzia.

Sogni, fantasie, castelli in aria, fiabe: a ben guardare forme diverse di deliziose bugie che talora ci raccontiamo nel nostro intimo, ma che talora, come i concorrenti a questo nostro agone letterario, generosamente raccontiamo anche agli altri.

Deliziose bugie dei nostri piccoli, come quella che ho seriamente ascoltato da una bambina che altrettanto seriamente mi assicurava che quella bella “polo” che indossava era stata fatta dalla mamma che io sapevo con certezza non avere mai maneggiato in vita sua i ferri da maglia. Una bugia che la piccola raccontava anche a se stessa, forse per sentire più vicina una madre per tanti impegni professionali un poco assenteista… o forse solo per gelosia di una sua amichetta che le aveva parlato della propria madre capace di confezionarle gli abiti, di farle le magliette, di costruirle le bambole, una mamma cioè che aveva insomma tanto tempo da dedicare alla sua bambina.

Quando i bambini ci raccontano, come veri, i loro sogni e le loro speranze, noi spesso non accettiamo serenamente le loro confidenze, e li rimproveriamo perché ci dicono le bugie.

Ma quando un adulto scrive “bugie” di questo genere, e le sa porgere con grazia e con vivacità, lo esaltiamo come un bravo scrittore, ne elogiamo la fantasia. E lo premiamo in questo concorso, assieme ai bambini che hanno partecipato scrivendo cose forse più semplici, con parole meno ricercate ma con non minore fantasia.

Non ci accorgiamo che la differenza sostanziale è soltanto in una diversa consapevolezza e in un diverso dato anagrafico.

Credo che l’adulto che scrive una fiaba non lo faccia solo per l’ambizione di vincere un concorso, ma lo faccia soprattutto per sfogare almeno una volta all’anno – o nella vita – quella parte più bella che è in lui, che è rimasta ingenua e fiduciosa nonostante le peripezie, gli inganni, le ingiustizie, le rinunce, i compromessi dell’esistenza, e che è ancora pura e limpida, dimentica degli scontri, delle ferite, delle mutilazioni, degli anni che sulla sua anima si sono accumulati.

Quella parte più pulita che vive dentro noi, che di tanto in tanto, per fortuna, riesce ancora a venire fuori e ci permette, almeno qualche volta, di accendere, per illuminarcene e per riscaldarcene, il grande fuoco di quel bambino che siamo stati, con i suoi sogni, con le sue speranze, con le sue illusioni.

Quell’essere meraviglioso, ingenuo e puro che ci ha lasciato, in fondo all’anima, tanta dolce nostalgia, che è in sostanza la voglia, il sogno, la fiaba di ritornare ad essere quella grande, felice realtà che fummo.

Perché ”se non vi farete come questi bambini, voi non entrerete nel regno dei Cieli”.

Angelo Paviolo

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