Edizione 2012: Giovanni Tesio

Nella foresta dei miracoli

Ed eccoci ancora qui. Ed eccoci a disputare (si fa per dire) su quei soggetti che quest’anno abbiamo assegnato come temi portanti o motivi conduttori: quelli che Propp chiama “aiutanti magici” e”oggetti magici”. Per “aiutante magico” s’intende il personaggio che sotto diverse spoglie aiuta il protagonista a superare un ostacolo e dunque a vincere la sfida. Per “oggetto magico” un oggetto investito di poteri speciali con cui il protagonista riesce a compiere una specifica impresa, che va molto al di là dei poteri ordinari di cui potrebbe disporre contando solo su se stesso. A volte è l'”aiutante magico” a fornire il protagonista di uno o più “oggetti magici” con cui le prove dovranno essere affrontate e superate. Senza distinguere troppo fra”aiutante magico” e “oggetto” o “agente” magico, la nostra proposta ha inteso mettere a prova la bravura di chi sapesse costruire intorno ad “aiutanti magici” o a “oggetti magici” (o a tutt’e due insieme) delle fiabe particolarmente originali.

In verità, nel mondo delle fiabe tutto è magico perché tutto è concreto e familiare. Nel mondo delle fiabe tutto è concreto e familiare perché è dall’universo del noto – dalle rive del conosciuto – che la magia può spiccare il volo e vincere barriere, recinti e steccati, elaborare le sue misture negli alambicchi e nelle storte della sua alchimia fantastica. Il mondo è il mondo, le cose sono le cose, le persone sono le persone (voglio dire che hanno tratti precisi o ricoprono ruoli definiti), ma nello stesso tempo tutto è mutevole e trasmutabile. Tutto può diventare altro, trasformarsi nel suo contrario, proliferare parvenze, moltiplicarsi in figure. Nessun universo è più mutevole della fiaba, pur quand’è attaccata alla realtà più terragna.

Il mondo delle fiabe è il più vicino alla dimensione del sogno. Così come nel sogno le traiettorie della realtà prendono le più strambe dimensioni e tutto si muove dentro l’invenzione della sorpresa e dello stupore, persino dell’incubo, di certo delle metamorfosi, così nel mondo delle fiabe il tempo si scompone, lo spazio si deforma, le dimensioni si sovrappongono e si confondono. C’è il giorno, c’è la notte, c’è il sole, c’è l’ombra, ma tutto sta lì in luogo di qualcos’altro, ed è proprio questo “qualcos’altro” a prendere il sopravvento, a dettare gli incontri, a vincere i pesi e le misure, senza tuttavia mai mostrare nessun residuo di flou, di vago, di indistinto.

Né sono mai – le fiabe – un’occasione sentimentale, anche quando i principi-rospi diventano bellissimi e le servette da sottoscala si trasformano in meravigliose apparizioni, mostrandosi ben degne di portare scarpette di vetro e crinoline gonfie come mongolfiere. Le fiabe sono esatte, come sono esatti i sogni, ma nello stesso tempo sono incredibili come solo sanno esserlo le fantasie più sfrenate. La loro logica è il paradosso, la loro saggezza è confutabile, la loro cifra è la libertà, che è capace di scavalcare tutti i più formati cliché – addirittura gli stereotipi – a cui sembrerebbero lì per lì dover corrispondere. La fiaba è da intendersi come una selva d’invenzioni, che sta tuttavi a – in una sorta di grammatica combinatoria – dentro una forma riconducibile a una serie di funzioni (e Propp va citato proprio per questo).

Ma ad un tempo il mondo delle fiabe è il più prossimo al mondo della poesia perché in esso tutto è mutamento e trasformazione. Anche la fiaba è la casa della “possibilità”, come della poesia diceva Emily Dickinson, l’autosequestrata di Amherst. Perché tutto vi può accadere e tutto può convivere nel suo contrario. Perché anche la fiaba ha la strana tendenza a dire più cose contemporaneamente. La differenza sta nel fatto che poi la fiaba dipana la sua storia e procede verso una conclusione, mentre nella poesia la convivenza dei sensi resta costitutivamente appesa all’indecidibilità del suo destino.

Nei recinti della fiaba gli aiutanti magici e gli oggetti magici diventano i ponti di un passaggio che va da qui a là, dal dove all’altrove, dai confini all’oltre, sprigionando l’energia di ciò che ci rende più profondamente umani: il nostro desiderio di miracolo, la nostra sete di immaginazione, il nostro bisogno di anima e di mistero.

Giovanni Tesio
Docente di letteratura italiana
Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro”

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