Il passo del Dahu

Un moderno Aldelmo di Malmesbury da dove comincerebbe a illustrare il bestiario del nostro medioevo multimediale? A foglio uno del Physiologus virtuale, chi metterebbe? Un’utile mozione d’ordine precede la risposta. “Poco, anzi niente s’inventa”, disse Domenico de la Crux. E se per Eliot “i poeti maturi rubano”; copiare non è peccato. Apriamo a caso il Liber monstrorum de diversis generibus e troviamo ispirazione.

Ecco la bestia che casca a fagiolo per iniziare il nostro viaggio post-naturalista. Come tante altre che incontreremo cammino facendo – estinta in natura, è risorta nel e-world, dove ormai spopola. È il dahu.

Il Dahu secondo la ricostruzione visibile al Museo delle Alpi, presso il Forte di Bard.

Quello diciamo in carne e ossa complicò da sé la sopravvivenza sulle aree montane europee. Mai numeroso e per questo difficile da incontrare sui versanti, gli esterrefatti testimoni della sua presenza riportarono descrizioni parziali o discordanti. Pastori, pellegrini e contrabbandieri che lo incrociarono sull’arco alpino fra Marittime e Pennine, lo descrissero come un ovino selvatico. Insomma, un altro montone qualsiasi, non fosse per le sue peculiari coppie di zampe asimmetriche: due più lunghe e due più corte, per sembrare diritti pur sul pendio. I dotti distinsero il dahu levogiro dal destrogiro. Il destrogiro zampettava sul fianco del monte in senso orario. L’altro, au contraire. Ci fu un dahu dalle anteriori più piccole. L’ultimo sparì verso la punta di un monte. È secolare la diatriba sui motivi che indussero forse un camoscio o una volgare capra a tale bizzarra mutazione. Pigrizia? Misantropia? Calli agli zoccoli? Comunque, alla lunga non fu una gran pensata. Se il dahu viaggiava solo, si condannava zitella o scapolo a vita. E ciao riproduzione della specie. Se procedeva in compagnia, beati gli ultimi se i primi erano onesti. Chi stava dietro a un ingordo, a esempio, godeva di misero pascolo e se ne moriva di fame. Se davanti c’era un malato, ogni alzata di coda e spruzzo connesso elargivano al seguito virus e batteri letali, tipo pandemia zombie in un film di Romero. Fra i dahu non era perduto chi si fermava, ma quelli appresso – intasati peggio che all’ora di punta in un raccordo anulare. Più di tutto, la monotona colonna marciante dahu era controproducente nella stagione degli amori. Il maschio doveva sperare di non avere avanti una dahu bisbetica. La femmina, per quanto pudica, anelava che dietro fossero pronti alla monta. Sennò, t’arrangiavi come potevi: ma niente cucciolata.

Le disavventure amorose del Dahu, viste da un vignettista francese.

Quando si verificavano le condizioni favorevoli all’arrivo della cicogna, si presentavano grossi problemi pratici. Appena iniziava la copula, dietro si mettevano a strillare: perché ci fermiamo? Un coro di clacson al semaforo non è una serenata. Accoppiarsi camminando non è come farlo su una lavatrice in centrifuga. Scappa spesso la presa, finché passa la fantasia. C’era anche la disgrazia  che il pur volenteroso dahu fosse preceduto da una consimile già mamma. L’unico cucciolo nel marsupio materno ci stava dentro fino al quindicesimo compleanno, tipo mantenimento alle scuole dell’obbligo. Poi, obtorto collo, ruzzolava dietro mammina. E addio sogni di gloria con la milfona. Per questi quadrupedi, mettere su famiglia era impresa disperata come lo è oggi per una coppia di ventenni alle prese con l’ostico e precario mondo del (non) lavoro. Hai voglia a parlare d’inverno demografico.

Raffigurazioni medievali del Dahu.

A fregare il dahu, però, non fu qualche assembramento tipo coda alle poste il giorno delle pensioni, davanti un albero caduto o in attesa della sveglia di una mucca dormigliona. Il dahu è scomparso dalle nostre montagne sterminato dal turista spiccio della domenica, con i suoi pic-nic strombazzanti di valle in valle. Roba che nemmeno le micro-plastiche negli oceani con i delfini. Bastava l’arrivo di una comitiva che piazzasse su un bel barbecue tipo Capodanno a Fuorigrotta. Il povero dahu spaventato commetteva un errore esiziale: provava a girarsi per scappare. Finiva sempre ruzzoloni a valle (da qui il detto per cui chi lascia la strada vecchia per quella nuova eccetera). Una tartaruga girata sul carapace o un marine sbarcato su Omaha Beach avevano più speranza di vita di un dahu stramazzato sulla piana.

Il Dahu levogiro di Champoluc, scolpito nel legno dal maestro Dario Coquillard.

Per fortuna, la natura è conservativa. Il dahu è tornato nel mondo virtuale. È facile da incontrare. Basta aprire un browser a piacere. Non occorrerà una lunga navigazione, per imbattersi in un dahu destro o levogiro che passeggia in rete. Il web è un mondo sterminato, dove il dahu ha trovato il suo paradiso. L’ambiente prediletto è il social network, meglio se un blog dove il quadrupede può zampettare sempre e solo nella stessa direzione, all’infinito. Acriticamente. In piena sicurezza. Usando le migliori mimetizzazioni. Se uno allena l’occhio, però, il dahu lo riconosce in fretta. A tradirlo è la sua piatta andatura. Non può fare altro. Non vede altro. Non può concepire strada differente. Il dahu virtuale tira diritto più del suo parente naturale. Non c’è ostacolo, fosso o dahu contromano che possa bloccarlo. Cammina in bilico sul suo limite. Non importa dove la strada lo porterà. Quelle zampette hai. Così vai. Il primordiale web-dahu ha così potuto diffondersi e differenziarsi con facilità e – ammettiamolo – fantasia. Vegani. Fruttariani. Crudisti. Negazionisti. Mondialisti. Complottisti. Veri credenti. Veri miscredenti. Movimentisti. Animalisti. Antirubentini. Antimeridionali. NoVAX. SìVAX. NoTAV. SìTAV. Quelli che i forconi. Quelli che quando c’era lui. Quelli che quando ci saremo noi. E via così. Milioni di chilometri di dahu mono-pensiero ripetuto in litania: procedono imperterriti, dritti senza dubbi. Senza deviazioni o incroci al loro passo. Il passo unico. Quello che marcia verso le guerre. Quello che porta alle soluzioni finali. Eccetera.

Forse è il caso di tenere sempre aperta la stagione di caccia al dahu. Non dico di perseguitarlo. Rendiamolo innocuo. La sua protervia è infettiva. Cogliamo invece come sia comica e patetica. Se dovesse cambiare terreno, rispetto a quello che ha scelto – non importa per quale motivo – la sua andatura ridicola ci farebbe vedere quanto sia inoffensivo, solo a fargli buu. Perderebbe credito incespicando. Oppure, evitando di seguirlo ma esplorando altri percorsi (perché ne ammettiamo la possibile esistenza), lo vedremo svanire come il dahu capace solo di salire – finché davanti ha il cielo e lì deve fermarsi, inconcludente eremita.

A seguire un dahu prendendolo sul serio, invece, perché tutto sommato si fatica meno a camminare come lui: potremmo trasformarci in lui. E davanti il corpo spiaggiato di un bimbo esanime o una nave zeppa di disgraziati senza pane, acqua e carta igienica da giorni e giorni: serissimi, potremmo affermare che bisogna aiutarli a casa loro, perciò restino al largo e non si sognino di sbarcare a Cosa Nostra. Pardon: casa.

1 thought on “Il passo del Dahu”

  1. Divertente come l’edizione 2022 del Premio Trione abbia celebrato il primo posto per un… Dahu! Nella favola, l’autrice associa il nome a un orso: è una licenza poetica più che sopportabile, per il nostro fantastico animale. Il Dahu, però, non è un orso! Chissà se questo articolo abbia influenzato l’autrice?

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