Marta delle Capre

Nel nostro medioevo multimediale in tempo reale, molti Personaggi sono farfalle che vivono il battito di un doppio click. L’insegna “Mi piace” li attira e brucia nella sua luce anonima. Una luce blu mortale che non smette d’attirarne altri. Costoro sono la razza più presente ma provvisoria della specie Personaggi. Plancton individualista dalla brevissima vita. A volte inconsapevole, perché registrato da un cellulare impiccione e inviato al compostaggio in un social network. Ci sono Personaggi più coriacei all’estinzione da Sindrome del Nuovo, sguazzanti gli oceani dei browser e canali digitali terrestri, grazie tecniche di sopravvivenza migliori. La più diffusa è vivere in una rubrica dell’eccesso paradossale e demenziale. Funzionano sempre l’arroganza urlata e l’impudicizia sfrontata, in ecosistemi da seguire in abbonamento. E ripaga inventare leggende metropolitane sul proprio conto. Blogger, influencer, social media manager, opinionist e così via: il neo-latino del tele-pensiero unico è inesauribile fonte di fantasiose etichette. Più scintillano, più si appiccicano bene a un Personaggio di marketing auto-referenziale oppure estrattore di moneta elettronica dagli accessi al proprio orto virtuale.

È un pot-pourri d’umanità insulsa altrimenti inesistente, di fatto inesistente. Polvere per il vento dei calendari e delle mode. Facce usa e getta che sgomitano da ogni dove. Selfie dunque esisto. Post dunque conto. Video ergo sum. Costoro hanno niente da offrirci, oltre le loro acrobazie su biciclette, tuffi spericolati da automobili in corsa, esposizione di glutei e tette (forse veri, forse no), piatti di feci ingurgitati, quest e combo masochistici. Ci sono le rane che gracidano, dentro i loro insulti, proclami, editti e i loro lunghi, estenuanti, barbosissimi monologhi dall’aria esperta – seduti sul water, davanti un cellulare.
Oggi, raccontare un non-personaggio forse è più interessante. A esempio, come poteva un montanaro attirare l’attenzione di un giornalista fino a due, tre decenni fa? Giusto ci si ricorreva per tappare un buco a pagina enne del quotidiano locale o in un notiziario regionale. E comunque doveva darci dentro in qualcosa d’eccezionale. Avere in stalla una mucca con due teste. Produrre formaggi con latte di piccioni. Il tal malgaro Ennio Montidoro, guida alpina a tempo perso e per arrotondare, ha aperto un nuovo sentiero nella Val di Lassù, venghino signori turisti venghino, c’è toma per tutti. Eccetera. Bisognava superare l’uomo che morde il cane.

La normalità adesso sembra più avvincente. Di fronte l’inflazione di eccentricità, il banale si può fare bello e attirare la penna. A esempio, puoi chiamarti Marta e fare una vita da capre, in una valle fra i monti cuneesi. Anzi, alta valle che vuole dire realisticamente fra il niente e il nulla del mondo che conta (fonti: portali web Corriere di Torino, firma Alessandro Rosa; La Repubblica, firma Carlo Petrini). Al giornalista che ti scova, puoi raccontargli tante belle cose per spiegare come mai due giovani sono tornati a casa del lupo. Tipo: l’amore per la montagna. Tipo: il recupero del territorio. Tipo: ci sono nata e cresciuta. Tipo: una vita più felice. A smorzare gli idilli salta fuori Save The Goats: se adotti una capra per 100 euro, compri 120 euro di ricotte. E confessi fra i denti come a volte rimpiangi la vita da dipendente nella civiltà tecnologica energivora. Non solo perché ti piange il cuore a mandare i tuoi capretti al macello; perché dove hai lasciato, c’erano ferie e mutua, finché non hanno chiuso le fabbriche e ti hanno espulso dal mondo del lavoro (subordinato). Non si confessa, ma Marta, come altri suoi coetanei italiani, vanno a baita per trovare un’alternativa umana a disoccupazione, impoverimento e abbruttimento. È la cara, vecchia arte d’arrangiarsi dei non-personaggi su cui grava il peso del mondo. L’arte di non inventarsi personaggi per sottrarsi allo stillicidio di voucher e stage. La signora Marta Fossati che vive con il marito Luca a Sambuco e insieme fanno i pastori e i formaggi, è un non-personaggio da raccontare, anche se ha dato un nome più altisonante al suo ovile e al suo lavoro. Forse davvero è scappata dalla città sui monti, per esaltare “le qualità organolettiche del latte” appena munto dalle sue capre. Forse ha scelto questa missione per la sua vita, anziché infestare il mondo con video sbraitanti l’impossibile giocando a Ultimate Team in ADSL. Forse per timore d’essere presi in giro o peggio compatiti, si cerca di dire qualcosa in più del semplice “sono tornata da dove mangiavano i miei, per campare onestamente e con dignità”. A me, interessano di più queste storie, che di eccezionale hanno niente e di eroico tutto. Io l’ho trovata. Decidete voi se è troppo sforzo fare altrettanto.

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