Punta Basei

Sembra ieri e son passati quarant’anni! Eppure la prima salita a Punta Basei la ricordo come se l’avessi appena fatta. Avevo cominciato a praticare lo sci alpinismo da un paio di stagioni, dopo aver lasciato le piste battute per buttarmi, un giorno, su un pendio di neve fresca, con altri amici montanari. Loro erano tutti bravi, io arrivai al fondo che sembravo lo Yeti ma da lì avevo capito cos’è sciare.

Così quell’alba di giugno, partimmo in quattro dal lago Serrù con gli sci legati sugli zaini e, attraversato il pianoro, salimmo per il sentiero sul costone di fianco al ruscello che alimenta il lago dell’Agnel, da lì trovammo la neve e, calzati gli sci con le pelli, cominciammo a salire verso il ghiacciaio. La pendenza aumentava e con essa anche la mia apprensione, ma cercavo di non darlo a vedere. Sul ghiacciaio, che largo sconfinava nel cielo, il pendio era dolce e, sotto i raggi del sole, si sudava anche in maniche di camicia. Io ero il meno allenato ma cercavo di tenere il passo degli altri. Quando arrivammo in cima l’euforia superava la stanchezza. Rimasi incantato davanti alla finestra di roccia, scavata nella cresta finale, che apre la visuale sul versante nord. A quel tempo questo capolavoro della natura sporgeva appena dal manto nevoso, la luce del mattino lo illuminava frontalmente, facendo splendere di giallo e di grigio la cornice di pietra, dentro il vuoto buio del versante in ombra, come separasse il giorno dalla notte. Ora la finestra nella roccia è sempre là, ma la neve del ghiacciaio è scesa di parecchi metri, lasciandogli sotto un pendio di grigi detriti e lo spettacolo non è più lo stesso. Alla “finestra” piantammo gli sci nella neve, scalammo quei pochi metri di roccia verticale e raggiungemmo la croce della vetta.

Scendemmo. Era la prima volta che sciavo su un ghiacciaio – avevo già attraversato “ La Mere de glace” sul Bianco ma, al di là della meraviglia dell’ambiente, la discesa era stata banale lungo una traccia ampiamente battuta –. Qui invece si spaziava su una superfice immensa, liscia come un bigliardo con sopra quattro o cinque centimetri di neve che pareva sale. Ah che discesa! Che curve! Roba da far sciare anche i morti! Tra le tante montagne su cui ebbi occasione di sciare negli anni successivi, la discesa sul ghiacciaio della Basei rimase la mia preferita. Mi piaceva concludere la stagione sciistica con quella discesa. Credo di averla fatta più di venti volte in tutti questi anni. Spesso, nei tempi in cui ero in forma, salivo veloce, facevo una prima discesa sul ghiacciaio, poi risalivo col gruppo di quelli che avevo preceduto e riscendevo una seconda volta per rientrare.

Scendere con la brezza del vento sul viso e il fruscio della neve sotto gli sci era una gioia pura e quel paesaggio senza confini, che spaziava su orizzonti lontani dava la sensazione di libertà assoluta, totale. Come essere in un’altra dimensione.

Ho sciato sul ghiacciaio della Basei molte volte da solo e lo facevo in tranquillità con qualsiasi tempo: dal sole più tiepido, alla tormenta. Su quel ghiacciaio mi sentivo sicuro. L’ultima volta è stato quattro anni fa, sono salito con una nebbia fittissima, speravo di uscire allo scoperto in cima e salutare per l’ultima volta Punta Basei ma non fu possibile, lo strato di nebbia era troppo alto, in cima al ghiacciaio dovetti fermarmi, fotografai per ricordo gli sci, i bastoncini, lo zaino – non si vedeva nient’altro – e ridiscesi sulle tracce di salita. Adesso Punta Basei la saluto da sotto!

Le montagne della valle di Ceresole hanno esercitato su di me, come su generazioni di scalatori, alpinisti e sciatori un fascino grande. È stato un immenso terreno di gioco, dove ci si mette in gioco con fatica, con gioia, a volte con paura, per misurare se stessi.

Negli anni le ho percorse quasi tutte, dalla superba Aguille Rouge, al crudele Carro, dove perse la vita in modo assurdo il mio amico Bruno Torresin . Sulla Costiera dell’Uja, vidi per la prima volta le impronte del lupo e su quei pendii un altro mio amico uscì fortunosamente indenne da sotto alla slavina. Sul Colle della Terra commisi un errore in discesa, a metà canale, e “raspai” fino in fondo, lasciandoci la giacca a vento e un po’ di pelle dei gomiti sulla neve gelata.  Poi Punta Violetta, Punta Furà e tante altre.

I quattro amici di gioventù della prima salita alla Basei, con gli anni presero strade diverse ed io finii per andare molto spesso da solo in montagna. La cosa non mi dispiaceva affatto, mi accudivo la mia “orsaggine” e camminando in silenzio era più facile incontrare animali. Capitò molte volte ed ogni volta era una gioia. Cercavo sempre di non disturbarli, sentendomi un intruso a casa loro. Un mattino, mentre scendevo dal Jervis, incrociai una coppia di vipere su una lastra di pietra al sole. La traiettoria degli sci, condizionata dalle rocce, mi portava a passare proprio a fianco a loro. Non è consigliabile fare un movimento brusco vicino alle vipere,  anche se sono da poco uscite dal letargo, così “scalettai” con gli sci qualche metro più in alto e me ne andai lasciandole tranquille. Assieme alle albe, alle discese mozzafiato in neve fresca, gli incontri con gli animali sono l’altra parte bella che mi porto nel cuore, di questa mia lunga e fortunata stagione della vita, che ora cerco di prolungare in tono minore, combattendo contro gli acciacchi dell’età.

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