Alfred Hitchcock e il doppio

Ne Il libro di sabbia, Jorge Luis Borges racconta di essere stato a Cambridge e di essersi seduto su una panchina vicino al fiume… A poca distanza sulla stessa panchina si sedette un uomo che fischiettava: lo riconobbe, era se stesso da giovane.

Il tema del “doppio” ricorre, in letteratura, fin dall’antichità greca e si ripercuote nelle religioni in cui accanto al corpo appare il simulacro, l’anima, che rimarrà dopo la morte. Anche le fiabe utilizzano con abbondanza la materia (La Sirenetta di Andersen, Pinocchio, Riccardin dal ciuffo di Perrault) e se ci avviciniamo al cinema “l’altro da sé” non poteva non affascinare il maestro Alfred Hitchcock che anzi ne è rimasto avviluppato come nella tela di un ragno.

Nel film Psyco il protagonista Norman Bates opera una sorprendente scissione della personalità, impersonando l’anziana madre per riportarla in vita, e nelle sequenze di Vertigo (maldestramente tradotto in italiano come “La donna che visse due volte”) il regista affida a Kim Novak uno dei ruoli più ammalianti e misteriosi della storia del cinema.

Certo in quegli anni dopo aver visto i due film molte giovani donne sole si saranno tenute lontane dal sostare in qualche motel o albergo della zona…

Meglio ascoltare una fiaba della buonanotte, accanto al camino, mentre una voce femminile (potrebbe essere la mamma, la nonna?), si sofferma nelle descrizioni.

Ma… dov’è l’interruttore della luce?

La donna che visse due volte

C‘era una volta John Ferguson, detto Scottie.

È un uomo in gamba, da principio avvocato e poi poliziotto; la sua storia parte di corsa, sui tetti di San Francisco: c’è un ladro da inseguire nella luce blu della sera, si sente qualche sparo… Scottie inciampa e rimane aggrappato ad un cornicione, l’agente suo collega che gli porge una mano per aiutarlo, cade nel vuoto.

Da quel momento per Scottie rimarrà un ricordo pesante, l’acrofobia, la paura di precipitare nell’abisso… Meglio abbandonare il mestiere e dedicarsi ad altri passatempi come andare a trovare la sua ex compagna di studi Midge, una ragazza tranquilla e rassicurante; con lei si può provare a salire una piccola scala a pioli, primo gradino… secondo… terzo… chi ha paura del lupo cattivo? Meglio desistere, sarà per un’altra volta.

Ma un altro compagno di università, Galvin Elster, sopraggiunge imprevisto e chiede a John/Scottie di aiutarlo: il nostro eroe dovrebbe seguirne la moglie che da un po’ di tempo si comporta in modo strano… Ella è spesso assente, parla in modo inusuale, va in giro per la città come in trance e sembra che la bisnonna Carlotta ormai defunta abbia preso possesso del suo essere. Scottie non è contento dell’incarico finché al ristorante da Ernie’s vede per la prima volta la donna.

E il destino dell’uomo è segnato: la signora Madeleine non è soltanto molto bella ma rappresenta l’indecifrabile mistero che diventerà l’ossessione di Scottie, ed è una forma di ossessione che coinvolge probabilmente anche il regista.

Come all’interno di un gioco di ruolo, l’inseguimento della donna diventa un percorso a tappe: 1) il negozio di fiori. Perché bisogna entrare dalla porta sul retro?

2) il cimitero 3) il museo; in entrambi i luoghi la persona ricordata è Carlotta Valdes, l’antenata di Madeleine, che osserva il mondo dal dipinto… 4) la camera dell’hotel, un vecchio edificio in legno.

Niente è quel che sembra e non ci sono più posti sicuri per Scottie: i due cominciano a frequentarsi, e i luoghi da fiaba non mancano dalla baia di San Francisco al parco con il bosco delle sequoie. I sentimenti li avvolgono anche se ad attenderli c’è la torre del campanile della missione spagnola San Juan Batista… Un gradino, due, tre… Madeleine si getta di sotto, senza scampo.

E adesso per il protagonista (che ha il volto compassato di James Stewart) le strade del bosco si aprono verso la nebbia. Eccolo vagare per la città alla ricerca del viso amato, finché incontra Judy Barton e qui ha inizio la seconda parte del film. Judy somiglia fisicamente a Madeleine tanto che Scottie riesce a trasformarla secondo i suoi desideri… Ma la ragazza nasconde un segreto poiché è stata complice di Galvin Elster nell’assassinio della vera moglie. Si era travestita, aveva assunto le sembianze di un’altra, lo sguardo, i capelli, il portamento… Chi sono ora i buoni e i cattivi della storia?

Lo specchio

All’interno di un momento in cui sono particolarmente vicini Madeleine dice a Scottie:« È come se stessi percorrendo un lungo corridoio, ricoperto di specchi e alcuni frammenti sono ancora là… e quando arrivo alla fine del corridoio non c’è altro che oscurità».

Lo specchio torna in molte sequenze, simbolo dell’ambiguità e della doppia vita dei personaggi: Scottie si ritrova innamorato di una donna che non esiste, ma anch’egli usa le proprie armi per inseguire un ideale immaginario. E Judy/Madeleine non ha un’identità propria, per essere amata deve sembrare qualcun altro. Anch’ella vittima e carnefice nel medesimo tempo.

A volte il genio di Hitchcock utilizza il MacGuffin, termine coniato da lui stesso, per indicare l’espediente narrativo che tiene incollati alle poltrone gli spettatori: un oggetto di per sé insignificante su cui si muove la dinamicità narrativa. Qui potrebbe essere la collana che indossa nel ritratto Carlotta Valdes, o il senso di vertigine che prova Scottie nel tentare di vincere le proprie fobie.

A volte si può seguire una donna così bella solo per vederla scomparire.

La vertigine

Anche i titoli di testa rappresentano un capolavoro: la musica di Bernard Hermann ci mette sotto assedio, mentre spirali psichedeliche colorate si allungano sullo schermo… Ritroveremo il motivo della spirale nei capelli di Madeleine e nel senso vertiginoso che le riprese effettuano con uno zoom in avanti e una subitanea carrellata all’indietro: sarà difficile per i personaggi evitare di smarrirsi.

E per noi impavidi lettori? Appuntamento al McKittrick Hotel…

Se esiste, naturalmente.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.