Incontri speciali

Gli incontri capitati in montagna con gli animali selvatici mi hanno sempre emozionato. Parlo degli incontri “veri”, quelli ravvicinati, in cui l’animale per un attimo ti guarda negli occhi, ti ricambia lo sguardo. È l’incontro con la natura, nel suo aspetto primordiale, incontaminato; dove ti senti un intruso sorpreso a casa d’altri. Di questi incontri voglio descriverne alcuni, dei quali porto ancora vivo il ricordo dopo tanti anni. Inizio dagli stambecchi di Ceresole.

Foto di Piero Vaccarono nei pressi della Borgata Chiapili (Ceresole)

Ero partito come al solito di notte, quel mattino di primavera inoltrata; il cielo era coperto senza stelle, non avevo potuto informarmi sulle previsioni del tempo ma decisi di tentare lo stesso. L’idea era di salire la Costiera dell’Uja.
Passata Noasca, mentre salivo i tornanti, cominciava a schiarirsi e sporgendomi verso il vetro del parabrezza vedevo le montagne avvolte da una spessa coltre di nubi. – Magari si apre –pensavo, come noi diciamo sempre in questi casi! Arrivato a Chiappili di Sopra, neanche una macchina. Guardai l’ora: le sei passate. Presto ma non prestissimo, qualcuno dovrebbe già esserci, mah visto il tempo magari se la prendono comoda, arriveranno più tardi. Intanto cominciavano raffiche di tormenta leggera, con piccoli fiocchi di neve. Parcheggiai sullo spiazzo erboso, all’imbocco della strada sterrata che porta al vallone del Carro (allora non c’era ancora l’attuale sbarra che chiude la strada più a valle). Un branco di stambecchi pascolava sparso a un centinaio di metri. Le nubi in alto si spostavano, alternando sprazzi di chiarore a chiusure color piombo: magari si apre, così, da solo, non merita salire, aspetto un po’. Abbassai lo schienale del sedile mi strinsi nella giacca a vento e pian piano mi addormentai.

Mi svegliai un’ora dopo, la tormenta era cessata, la neve scendeva abbondante, lenta, a larghe falde. Il terreno cominciava ad imbiancare. Dai vetri leggermente appannati vedevo delle ombre vicine, mi stiracchiai e guardai meglio: gli stambecchi! Erano vicinissimi, alcuni a meno di un metro dalla vettura. Brucavano in fretta, tra i fiocchi di neve, l’erba fresca con i primi fiori di primavera. Avevo posteggiato sulla loro colazione. Nonostante il freddo cominciasse a farsi sentire e la voglia di scendere a sgranchirmi le gambe aumentava, non mi mossi. Non volevo rompere quell’incanto! Li guardai per almeno venti minuti, poi abbassai il finestrino e i due più vicini mi guardarono in faccia con quei loro occhi d’oro, uno continuava a masticare il boccone d’erba fiorita tra il pigro e l’infastidito: era bellissimo! Sentivo il loro odore selvatico, come loro, certamente, sentivano il mio. Misi fuori una mano e loro scattarono di alcuni passi ma non troppo spaventati, allora accesi il motore e girai verso casa, contento come avessi fatto la più bella delle gite.

Un altro bell’incontro con gli stambecchi mi capitò l’anno seguente durante una salita a Punta Rossa, sopra il Pian della Mussa. Ero con il mio amico Mario, stavamo per superare il tratto ripido di metà percorso e il nostro orizzonte in alto terminava con la neve contro il cielo azzurro.
All’improvviso, sopra di noi, comparve un gruppo di dieci- dodici stambecchi che si fermarono guardandoci salire; non scappavano, erano curiosi e ci guardavano stupiti, come si guarda dei maleducati che entrano in casa senza chiedere permesso. Due piccoli si alzarono sulle zampette posteriori e con le cornine mimarono il gesto del combattimento, tanto per farci vedere che non avevano paura di noi, mentre le loro madri si avvicinavano protettive e li spingevano via col muso.

Noi due, sempre salendo in silenzio con gli sci ai piedi, entravamo dentro al gruppo che si apriva per farci passare, quando il capobranco decise che era troppo e con una serie di sternuti di disapprovazione, rivolti con decisione verso di noi, alzò con fierezza la testa dalle grandi corna e comandò al branco di spostarsi, partendo di corsa. Tutto il branco lo seguì in fila indiana attraversando il nostro orizzonte tra la neve e il cielo. Correvano contro il sole radente del mattino e i loro zoccoli alzavano spruzzi di neve che la luce faceva brillare come cascate di diamanti.

Lo spettacolo durò qualche secondo, poi sparirono dietro i dirupi ed io e Mario a commentare la bellezza di quelle immagini. Se avessi potuto riprendere quella corsa son certo che avrei realizzato una foto memorabile.

Continua…

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