C’era una volta un Re
Era di maniere famigliari ed alla buona, si piaceva di trattare da pari a pari anche con i più umili sudditi; amava talvolta tratti e cibi popolari. Cacciatore appassionato, sosteneva di animo lieto ogni fatica, ogni privazione su per le montagne, come nei campi di guerra.
Un giorno, lasciata la carrozza sul fondo di una valle, salì sul cavallo ed iniziò a salire verso l’alto, sempre più in alto, sul fianco della montagna. Dopo ore ed ore la bestia era stremata e anche lui cominciava ad avvertire i segni della fatica, ma la passione per i piccoli selvatici di pelo e di piuma era insaziabile. E del resto il colle sembrava ad un tiro di schioppo. Ancora uno strappo e finalmente lui e i suoi fidi raggiunsero la sella. Sopra di loro, maestose, si innalzavano le stupende montagne del Gran Paradiso, che limitano la valle di Cogne sul versante opposto, e le loro cime, ammantate superbamente di nevi e ghiacciai, offrivano un magnifico spettacolo di paesaggio alpino. Il Re restò stregato per tutta la vita da quelle grandiose montagne e dalla loro fauna selvatica.
Non è una fiaba, anche se molto gli somiglia. È storia. Quel Re era Vittorio Emanuele II e le parole sono tratte da cronache del tempo di Vittorio Bersezio, da commenti dell’esploratore-disegnatore William Brockedon e, più recenti, di Renzo Videsott, primo direttore del Parco nazionale Gran Paradiso. Quelle montagne, con i camosci e gli stambecchi che le popolavano, accompagnarono il Re per tutta la vita e diventarono lo scenario delle sue avventure e passioni, sublimate con la creazione della riserva reale di caccia. Con il passaggio allo Stato di queste proprietà terriere ed immobiliari fu costituito nel 1922 il nucleo del primo Parco Nazionale italiano. E qui, nonostante l’importante donazione reale, stanno significative differenze. La caccia allo stambecco che il Re proibiva ai suoi sudditi ma riservava per sé salvò sì lo stambecco ma provocò lo sterminio dei “nocivi” (aquile, lupi, linci, gipeti, gatti selvatici, ermellini, donnole…), contribuendo non poco all’estinzione di molte di queste specie. Del resto la fruizione del territorio durante le cacce era interdetta a visitatori e montanari.
Nel corso dei secoli tante riserve di caccia e residenze estive dell’aristocrazia sono divenute luoghi in cui tutti i cittadini possono godere di un inestimabile patrimonio naturalistico. “Da riserve del Re a parchi di tutti” è lo slogan scelto dai Parchi piemontesi per celebrare il 150° dell’Unità d’Italia e per sottolineare questa trasformazione.
Libero accesso, ricerca scientifica, gestione attraverso rappresentanze locali, possibilità di fruizione da parte di tutti i cittadini, conservazione di tutte le specie – dall’insetto allo stambecco – sviluppo di attività di educazione ambientale, salvaguardia delle attività a gro-silvo-pastorali, dei valori antropologici, archeologici, storici e architettonici, sono tutti elementi che contribuiscono a far capire, citando le parole di Horace Mac Farland, presidente nel 1916 dell’American Civic Association, che “… questi grandi parchi, come oggi li conosciamo, sono al più alto grado una pura espressione di democrazia.”
Il tema scelto quest’anno dall’ Associazione “‘L Péilacan” per il concorso “Una fiaba per la montagna” è “Fratelli d’Italia”.
La nostra Repubblica tutela, con l’art. 9 della Costituzione, il paesaggio ed il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutti noi cittadini, adempiendo ai doveri di solidarietà politica, economica e sociale, siamo chiamati a contribuire, ciascuno secondo le proprie possibilità e la propria scelta, ad un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Tutti siamo tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della nostra capacità contributiva.
Di fronte a questi alti principi, spesso dimenticati, i parchi offrono un chiaro esempio di come il contributo finanziario di una nazione, il lavoro di tanti e il rispetto di tutti siano indirizzati ad assolvere ad un grande e nobile scopo comune, la conservazione di qualcosa – la fauna, la flora, le formazioni geologiche, la bellezza del paesaggio – che prescinde dagli interessi dei singoli, tuttavia rispettando e tenendo conto delle esigenze di chi vive in un territorio disagiato sul quale subisce limitazioni e vincoli.
È in questo difficile equilibrio e in questa inderogabile necessità il senso della “Res publica” e di sentirsi “Fratelli d’Italia” oggi.
Michele Ottino
Direttore Parco Nazionale Gran Paradiso
Italo Cerise
Commissario straordinario
Parco Nazionale Gran Paradiso