Shrek e le fiabe al contrario

C’era una volta
un povero lupacchiotto,
che portava alla nonna
la cena in un fagotto.
E in mezzo al bosco
dov’è più fosco
incappò nel terribile
Cappuccetto Rosso,
armato di trombone
come il brigante Gasparone…,

Le favole a rovescio di Gianni Rodari ci introducono nella Grammatica della fantasia (dello stesso autore), e aprono un capitolo affascinante, per certi aspetti irriverente se non addirittura eversivo.
Si tratta di un esercizio di stile ormai diffuso (in alcuni periodi è diventato materiale didattico e ha fatto parte dei programmi scolastici), e consiste nel riscrivere le fiabe più o meno classiche scambiando il ruolo dei personaggi, modificandone le caratteristiche e cercando di mantenere la struttura della trama originaria.
E se le matrigne delle favole fossero esseri angelici, con le guanciotte paffute, timide come violette? E Hansel e Gretel si dimostrassero dei briganti aguzzini, e imprigionassero la vecchia strega nella casa di marzapane per rubarle la pensione?

La sorpresa di Shrek

Nel maggio del 2001 viene presentato al festival di Cannes un film di animazione prodotto dalla DreamWorks, la casa di produzione fondata da Steven Spielberg e Jeffrey Katzenberg, dal titolo Shrek e con un protagonista insolito destinato a sovvertire i modelli delle fiabe fino ad allora conosciuti… un eroe politicamente scorretto e in netta contro tendenza con i blasonati disegni animati firmati Walt Disney.
La storia ha un padre: l’autore William Steig, americano di origine ebraica; uno strano scrittore e illustratore in cura dallo psichiatra austriaco W. Reich per molti anni della sua vita, nonché creatore di tanti divertenti racconti per bambini.
Nell’anno successivo la pellicola vince il premio Oscar, quando per la prima volta l’Academy dedica il riconoscimento ai film d’animazione.

La trama del film

In mezzo al bosco e dentro una fangosa palude vive Shrek, un brutto orco di colore verde, piuttosto puzzolente e maldestro. È un tipo solitario e asociale ma un bel giorno la pace del suo piccolo paradiso viene violata da un gruppo di creature spaventate, in fuga dal mondo delle fiabe e dal perfido Lord Farquaad, signore e dittatore di Duloc.
Shrek decide, suo malgrado, di recarsi presso la corte di Farquaad per la revoca dell’esilio inflitto ai personaggi fiabeschi costretti a scappare. Il potente lord ha intanto indetto un torneo cavalleresco: il vincitore dovrà liberare la principessa Fiona dalle grinfie di uno spaventoso drago affinché Farquaad possa sposarla (egli è troppo pavido per partecipare alla missione).
Anche Shrek viene coinvolto e grazie all’aiuto del fido Ciuchino, il suo amico asinello, arriverà al castello e risveglierà la prigioniera da un sonno incantato.
Tutto in regola quindi? Non proprio, visto che le frecce di cupido cambieranno direzione e il drago-femmina poserà lo sguardo languido sull’ignaro Ciuchino, mentre Fiona si innamorerà perdutamente di Shrek…
Alla fine la favola ci lascia qualche insegnamento, poiché invece dell’aitante principe azzurro gli spettatori devono fare i conti con un orco un po’ irascibile e poco dedito alla pulizia e con una sognante principessa che ogni tanto si lascia sfuggire un rutto; mentre colui che dispensa maggiore saggezza e possiede un umorismo arguto è in realtà… un asino.

Il desiderio di cambiare le cose e di renderle meno “tradizionali” rappresenta la gioia di fronte all’inaspettato, riuscendo così a farci tornare bambini… e forse ci consegna l’idea che questo mondo così com’è non ci piace poi tanto.
Lo stesso Gianni Rodari nelle sue Favole al telefono, affermava: «In principio la terra era tutta sbagliata… ».
Meglio cambiare prospettiva e provare ad osservare il mondo con la testa all’ingiù.

9 thoughts on “Shrek e le fiabe al contrario”

  1. L’ORCO NON è POI TANTO BRUTTO QUANTO LO SI DIPINGE

    Prima che ci pensasse Osama bin Laden, nel maggio 2001 un film distribuito con nemmeno tanto clamore ci aiutò a capire come il Nuovo Millennio non fosse solo questione da calendari. DreakWorks ci riuscì senza dovere abbattere grattacieli. Se poi la casa di produzione statunitense avesse qualche morto sulla coscienza come il famigerato miliardario yemenita, è perché lo ha ammazzato di risate mentre guardava Shrek.

    L’orco più scorbutico e buono della storia è la star di un capolavoro oltre il cinematografo. Il successo del film d’animazione ha generato un vero fenomeno globale, proprio per la sua grande innovazione nel raccontare una favola. Tutto quel che si vede nel film è originale, a cominciare dalla scenetta che precede i titoli iniziali e l’accattivante sigla di una colonna sonora coinvolgente (dove brillano i freschissimi Smash Mouth con “All Star” e “I’m a Believer”). Alzi la mano chi, alla prima visione, avesse mangiato la foglia che Shrek avesse finito tutti e dieci i piani di morbidezza a disposizione. Alzi poi la mano chi, appena uscito dal gabinetto, non lo abbia eletto a suo eroe e non abbia condiviso almeno una volta in vita sua la stessa gioiosa esclamazione.

    Su “Shrek” critica e opinione pubblica hanno già prodotto enciclopedie di recensioni, commenti, analisi. Nel giro di due anni dalla sua uscita fra cinema e home video, “Shrek” ha raccolto qualcosa come 44 premi fra cui l’Oscar e il Golden Globe. Proporre la sinossi della favola, sarebbe un delitto verso chi dovrà ancora vedere questo straordinario lungometraggio, che tanto fece tremare i bolsi della Disney.

    Se conoscete qualcuno che non abbia visto “Shrek”: scelta la piattaforma migliore, piazzatelo bello comodo davanti il televisore, il personal computer, lo home theater o l’intramontabile schermo di un cinema – ma evitate accuratamente qualsiasi tipo di spoiler. Poscia, lasciategli godere novanta minuti di autentico, divertente, arguto spasso.

    Vogliamo trovare un perché ulteriore? Guardiamo “Shrek” perché è una favola raccontata in modo semplice, coinvolgente, universale, innovativo. È divertente e didattica senza essere volgare o demenziale. Socrate applaudirebbe. “Shrek” supera lo stucchevole cliché della favola cui ci hanno e siamo assuefatti. La vicenda e i personaggi restano coerenti a un epoca “che c’era una volta” in un vago medio evo “fantasy” del Vecchio Mondo europeo. Profondamente differenti sono linguaggi, pensieri, psicologie, movenze, mentalità, ritmi. Le varie scene e situazioni non si limitano a scimmiottare il nostro tempo (come la spettacolare e irresistibile cavalleresca royal rumble di wrestling, degna dei migliori Undertaker, Eddy Guerrero e Triple H). Nemmeno a sostituire la mielosa melodia canterina cara al vecchio Walt con una colonna sonora molto rock, direbbe Celentano. Tutti i protagonisti di “Shrek” sono “tipi di oggi”. Siamo noi, soltanto travestiti da orchi, principi, draghi, eccetera. Colpiscono il ribaltamento degli stereotipi e l’attualità degli argomenti. Il despota di Duloc attua una rigida politica di legge e ordine, per normalizzare ogni aspetto del reame al suo pensiero unico di perfezione, disfacendosi senza scrupoli degli Unter Menschen fantastici (cioè prodotti della fantasia, sempre sovversiva per chi ha una corona in testa). Il bello e perfetto Farqaard è l’effige degli attuali dominanti, a tutti i livelli: apparenza, arroganza e prepotenza a volontà, salvo poi diventare chiacchiere e distintivo quando c’è da agire in prima persona o incoerenza pura quando fa più comodo, come usare l’abiurata magia per interrogare uno specchio delle brame (o delle nevrosi?). Sostituiamo Pinocchio e Ciuchino con un emigrante sbarcato da un gommone: dov’è la differenza? Il ribaltamento rispetto al luogo comune televisivo sono i brutti, sporchi e cattivi secondo le cosiddette persone perbene. I nostri perdenti quotidiani si rivelano i veri vincenti. Non perché essi conquistano regni o ricchezze a vario modo. Nemmeno perché ammazzano legioni d’infedeli o il drago feroce (anche questo ruolo classico è stravolto in una solitaria femmina, romantica e sensuale). Essi “vincono” in quanto al “sembrare” e “avere” antepongono “l’essere” e “il condividere”. Tutto ciò sono e fanno, senza arrogarsi il ruolo di moralisti e risultando più ricchi dei ricchi. Non è poco.

    Il motivo trasversale della storia di Shrek è la tolleranza, anzi la comprensione. Comprensione verso un orco che semplicemente vuole essere lasciato in pace da chi lo schifa. Comprensione verso un ciuchino brutto e petulante ma amico generoso. Comprensione verso una principessa poco regale e molto più maledetta, inquieta ma sensibile a non cedere alle sciocchezze con cui cresciamo le nostre bambine e fare la scelta migliore: aderire ad amore e virtù d’animo, rinunciando a potere ed effimera bellezza. E via dicendo. Tutto intorno, si agita un modo di folli e reietti (a cominciare dallo stonatissimo Robin Hood), oggetto di vergognosa persecuzione razziale, degna di Zio Adolfo ed epigoni e di noi gente silente che non si oppone. Tutto questo popolo di “perdenti” e “sfigati” alla fine “vince”. Per modo di dire. In verità riesce semplicemente a farsi “normalmente” i fattacci propri. Questo è il premio all’eroe secondo lo schema caro a Popper. Noi – che non siamo favola, bensì realtà – possiamo imitarli nella vita di tutti i giorni, dalla più spiccia a quella più elevata. Tanto, un Farqaard da prendere a calci nel sedere, ce lo abbiamo tutti intorno. Cominciamo da lì. Cominciamo a riconoscerlo e opporci.

    Ecco perché Shrek è il modello innovativo di “fare favola”: trattare temi contemporanei con stile attuale e “democratico”. Tutti dobbiamo prenderlo a riferimento, se non vogliamo accodarci a chi affossa questo modo di raccontare in qualcosa di alieno, insulso, insapore. Un po’ come quel che spesso spurga da Burbank, con le sue consolatorie e narcotizzanti canzoncine e storielle fra le nuvole. Lunga vita a Shrek. Non so se è vissuto sempre felice e contento. Meglio di tanti di noi, credo di sì.

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