Occhio, è un Basilisco!

Per osservare un fioretto, fai che sei lì ad arrancare sulla Via Borromea. Hai superato le stramaledette sei ore di marcia previste dalla stramaledetta guida Itinerari GTA (stramaledetto il giorno in cui l’hai comprata); eppure non appare ancora il Santuario della Madonna del Sangue. Il tuo, ti sembra d’averlo versato già tutto lungo la salita al Golgota, goccia a goccia come le briciole di Hansel e Gretel. Ti fermi. Scarichi lo zaino. Siedi sul masso più comodo e puntuto delle Alpi. Riprendi colore. Mediti sulla necessità di fare e soprattutto rispettare certe promesse, in cambio di presunte grazie. Qualcosa attira il tuo sguardo già abbastanza allucinato. Resti imbambolato, tipo mani unite sopra la testa e Giucas Casella che ripete “solo quando te lo dirò io!”. Caro imprudente escursionista fai da te: se ti capiterà una simile paresi in quei di Malesco, non incolpare lo struggente panorama alpino. Sarà più facile tu abbia vissuto la disavventura d’incrociare lo sguardo magnetico del basilisco.

Il Basilisco del Castello di Trsat a Rijeka.

Il nefasto Berzelesk ha mai scherzato in vita sua. Esso era noto già ai classici. Plinio il Vecchio gli dedicò una bella pagina della Naturalis Historia e descrisse i suoi malefici poteri. Lo sguardo vitreo del basilisco può uccidere, di sicuro ammalia. L’alito della bestia secca le piante, sgretola le pietre. È simile a una serpe ma non striscia, anzi incede eretto. Sulla testa pare abbia una corona – macchia bianca per la quale ebbe l’appellativo di Re dei Serpenti. Gli eruditi pagani non sapevano altro del misterioso sangue freddo, a cominciare dalla sua origine. L’arcano iniziò a svelarsi nel corso del VIII° secolo dopo Cristo. Fu Beda il Venerabile a spiegare come l’orrida creatura nasca da uovo di gallina covato da rospo. Del resto, gli antichi Egizi, presso cui era già noto, credevano fosse comparso da un uovo d’ibis covato contro natura. La scoperta del monaco inglese ebbe conferma nel 1206. Pierre de Beauvais chiarì nel suo Bestiaire come il basilisco fosse frutto di uovo deforme deposto da gallo di sette anni, incubato per nove dal rospo. Ciò spiegò perché la bestia avesse testa di gallo, coda di serpe e corpo di rospo.

Raffigurazione del Basilisco in Monstrorum storia di Ulisse Aldrovandi (1642)

Nel 1230 Anglico ultimò il De Proprietatibus rerum e supportò le parole di Beauvais. Il dotto latino confermò quindi i racconti popolari: “È poco più grosso di un ramarro, e gli somiglia anche […]. Sulla testa ha una cornea corona […]. Ai lati gli spuntano due ali membranose […]. Cacciando fuori la bifida lingua fischia […]. Chi guarda i suoi occhietti verdi resta incantato […]. Non un piede può muovere, né una mano, né abbassare le palpebre per sottrarsi al maleficio, né urlare per chiamare soccorso. […] non c’è scampo; la dannata bestia aspetta però a morsicare […], godendo del disperato terrore […]. Si dice che […] nasca dall’uovo di un gallo di sette anni, covato […] per tre settimane. Il girasole ha il potere di tenerlo lontano, […] per questo sull’angolo degli orti e dei campi vedete il giallo fiore eretto sull’alto fusto, quasi in vedetta” (cit. Aurelio Garobbio, “Leggende delle Alpi Lepontine e dei Grigioni”). Il polacco Jan Johnston lo annoverò ancora in Historiae Naturalis (1625-28).

Stampa medievale raffigurante una donnola che uccide un Basilisco.

Insomma: l’insana lucertola ha afflitto a lungo l’umana fantasia, prima d’arrivare a quella di Mrs. Rowling, indaffarata a inventare antagonisti credibili per il Nerd quattr’occhi di Hogwarts. L’estinzione del basilisco avvenne dopo la metà del XVIII° secolo. L’ultimo interessato al mostro fu il monaco spagnolo Benito Jerónimo Feijoo. Nel 1728, il benedettino confutò il potere del basilisco d’uccidere con la vista. Sulla copernicana enunciazione si scatenò una lunga quanto irrisolta diatriba fra colti iberici.

Il Basilisco in una stampa del secolo XVII°

A darle un taglio fu necessario l’editto di Ferdinando VI: il re vietò del parlare di basilischi. Era il 1750. Le donnole disoccupate finirono in mezzo a una strada. Nessuno le avrebbe più allevate per uccidere il turpe rettile con il loro odore. L’interesse umano verso il mustelide tornò più prosaicamente alla sua pelliccia – e pure questa non fu una bella novità.

 

La Fontana del Basilisco a Malesco, disegnata dal maestro Giorgio Cavalli.

Tranquilli, allora. Lo stato catatonico sul masso un po’ muschiato vi capiterà per scarsa abitudine a scarpinate come quella che da Canobbio porta vicino a Malesco, in Val Vigezzo. Lì, troverete l’unico basilisco in zona. Sta in piazza del paese ed è solo una bella, innocua statua.

Faremmo tutti meglio ad accorgerci, invece, che pericolosi basilischi infestano il mondo virtuale in cui siamo realmente immersi. La loro evoluzione nell’elettronico cosmo social ha preso il nome di influencer. Il termine anglosassone sottolinea il potere ipnotizzante del e-basilisco. “Colui che influenza”: suona di malattia e pestilenza. Lo influencer inocula un virus che penetra e storpia la mente, contro il quale nessuno ha fondato un comitato SìVAX. Tipi futili, vanesi, auto-referenti, egocentrici, narcisisti; spesso privi di reali capacità e virtù; destinati all’anonimato, se avulsi dal web: gli influencer sono i nostri basilischi, più astuti e perfidi. Come la bestiaccia di Plinio, ci incantano se intercettano il nostro sguardo. Percorrendo il nervo ottico, staccano l’interruttore della migliore difesa immunitaria mentale: il senso critico. Bombardano le disarmate coscienze e incoscienze di tweet, post, emoji, hashtag, like non richiesti, a cadenza oraria. Propongono un’emulazione compulsiva, facile, rassicurante: contraddittorio rimedio per le persone normali alla condanna di restare senza volto nella consumista società massificante. Intossicano stati d’animo già confusi dalla realtà ardua da comprendere, digerire, affrontare. Creano dipendenza da cui si alimentano. Chi è avvinto da questo plagio multimediale, perde motivo di dubitare sull’effettivo buon gusto nel ricoprirsi di tatuaggi e metalli oppure sull’intelligenza di buttarsi da un balcone per risolvere l’ultimo quest della Balena Blu. Non c’è facile scampo. Purtroppo, a volte non è un modo di dire. La sindrome da influencer vanta anche il suo incrementale bilancio di malati e morti veri fra disturbi alimentari e comportamentali, challenge più o meno suicide, altre bizzarrie emulative. Le dannate bestie non morsicano le loro vittime. Le vampirizzano con parsimonia. Il nutrimento dello influencer non è il disperato terrore della vittima (come si diceva per il basilisco), ma l’infatuazione drogata dalla quale spilla soldi. Già: perché alla fine tutto si riduce a spremere dal nulla la banale pecunia.

Scudo di Zwolle (moneta del 1295): L’Arcangelo Michele uccide il Basilisco.

Lavorare stanca. Meglio aprire un blog venduto alle multinazionali dei pannolini o delle calzature. Un solo post di tale Huda Kattan per pubblicizzare qualsiasi brand spurgherebbe diciottomila dollari, grazie agli oltre venticinque milioni di followers adoranti la statunitense con genitori iracheni (sic!). Followers: così si chiamano oggi i bambini adescati dai moderni pifferai magici della persuasione occulta, descritta nel 1957 da Vance Packard con il suo ancora moderno e attuale saggio. Io bevo quest’acqua minerale. Il mio pupo mette questa felpina. Indosso questi slip. #Guardami #FaiComeMe #SaraiCool #SaraiFelice. Invia. Il conto corrente lievita, foraggiato dagli inconsapevoli succubi del e-basilisco, tutto pancia piatta e taglio trendy. Una volta li chiamavano imbonitori e ciarlatani. Oggi li chiamano influencer. Fa più fico. Aspetto con gli occhi fissi al cellulare che il mio basilisco mi dica cosa dire, fare, baciare; che lettera scrivere, chi nominare nel testamento. Aspetto la notifica e poi con un doppio click avrò la sua nuova regola di vita: il mio post di cittadinanza in un mondo che, sennò, mi ingloberebbe senza accorgersi di me. Nuove idolatrie crescono, nel vuoto a-morale del cosiddetto turbo-capitalismo. Forse arriverà un altro illuminato Ferdinando: con un semplice Decreto Legge, ci sveglierà da quest’altro sonno della ragione. Intanto, la fungaia continua a generare mostri.

Attenti a dove guardate.

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