Urciat. Non è lo Yeti

Televisione: diabolica avola del tablet, eppure ancora giovanissima e ingorda. La sua voracità non spaventa se placa l’appetito hardware d’energia elettrica – con buona pace di Greta Thunberg, adolescente ambientalista che non lesina caricabatteria, cellulare e iPAD per collezionare like su Instagram alla causa o al post prandiale in treno, mentre pesca ilare fra pacchetti e vasetti d’odiata plastica usa e getta. La bulimia più inquietante della televisione è per l’audience. L’indice d’ascolto (sic!) televisivo è il metro da sarto per misurare la pancia. Più è larga, meglio è: tivù de panza, tivù de sostanza. Per audience, una anchorwoman nazional-popolare evocherebbe anche Satana. “Solo per voi! Con il cuore: in collegamento da Erto, tutte le verità del signor Urciat!”, due minuti linea alla regia e poi torniamo subito da voi a sbattere il mostro in prime time.

Urciat visibile in uno stallo della quattrocentesca Chiesa di San Martino ad Ambierle.

In Valchiusella, l’Urciat era l’Om Salvé dei popoli alpini; poi, dialetto che vai, nome che trovi. A esempio, in Piemonte c’erano: l’Om Salvaij nel Canavese, il Sarvanot a Cuneo, il Sarvage lungo la Val Pellice, l’Irsat presso la Val di Lanzo. Ognuno lo chiamava a modo suo; tutti descrivevano uguale lo schivo abitante delle grotte a Bele e Zubiena. Se non conta il nome della rosa per parlare dell’Uomo Selvatico, vada allora per Urciat.

Pur riconosciuto homo, l’aspetto brado proscrisse Urciat bestia nei bestiari medievali, a partire dall’imprescindibile Liber Monstrorum di Aldelmo da Malmesbury (ca. 639 – 709). L’abate poi vescovo inglese descrisse gli hominibus setosis, “razza d’uomini dal corpo villosissimo, dei quali si dice che vivan nudi, secondo natura, come le bestie coperte del solo pelo” (trad. Corrado Bologna, Bestiari tardoantichi e medievali – I testi fondamentali della zoologia sacra cristiana, edizioni Giunti/Bompiani 2018).

Il Vascapum, visibile al Museo del Territorio Biellese.

Le mani glabre, altrimenti irsuto da fare invidia a Lucio Dalla, Urciat vestiva perciò di nulla; semmai, si copriva un po’ con pelli, sterpi, fogliame. Urciat indossava null’altro che quanto raccolto in natura. Poliziano, sommo poeta del XV° secolo, gli dedicò una rima nelle Stanze (Libro I, ottava 10) per spiegare appunto come “l’volto difendea dal solar raggio/ con ghirlanda di pino o verde faggio”. Il Museo del Territorio Biellese espone il vascapum, mantello da Urciat fatto con rami secchi di vascapina. Diffidate dalle imitazioni, tipo il guascapo dei pastori umani.

La corporatura alta e robusta, la forza possente, cotanta pelliccia oggi vi farebbero parlare di ruspante Yeti o Sasquatch di periferia. Errore. Urciat non era un rozzo ominide superstite al Diluvio Universale, neppure il buon selvaggio sotto casa da chiamare Venerdì e risparmiarsi un naufragio. Era Uomo Selvatico, ma non a causa di un brutto carattere – sebbene fosse molto permaloso, portasse rancore e cercasse vendetta ai torti subiti.

L’Homo Salvadego di contrada Pirondini a Sacco, dipinto da Simon e Battestinus nel 1464.

Ego sonto un homo salvadego per natura; chi me ofende ge fo pagura”, ammonisce il ritratto del Salvadego dipinto a Sacco. Era selvatico nell’essenza e legame armonici ma saggi con la natura. E per gli uomini – meravigliati gli risultassero estranee civilissime cose nostre come danaro, proprietà, dominio, guerra.

Hans Holbein il Giovane – Uomo selvatico brandisce un tronco d’albero sradicato, 1528 circa.

Urciat era quieto, riservato, ma curiosone e attratto dai suoi urbani e strani vicini. Capitava di farci amicizia, come racconta la fiaba del Selvatico ficcanaso e i contadini a Bora ‘t Còl di Meugliano. Era candidamente generoso. Non dubitava nel condividere i molti segreti a lui noti, con chiunque gli andasse a genio. Spesso mal lo incolse. La leggenda narra che colonizzò per primo le Alpi. Fu lui a iniziare le attività alpestri, poi le insegnò agli uomini giunti in epoche successive al suo arrivo. Con gentilezza spiegò a loro come raccogliere e lavorare legnami o estrarre e manipolare minerali. Li educò a selezione e uso d’erbe, funghi, frutti del bosco. Mostrò come fare caglio, burro, miele. Insomma: li scozzonò alla vita montana eco-compatibile. Una volta imparato, tanto per cambiare, gli uomini non gli dimostrarono opportuna gratitudine. Alla meglio, lo derisero per aspetto e modi; nei casi peggiori gli diedero la caccia, per farne servo.

Schembartsbuch (Museo Nazionale Tedesco di Norimberga) Maschere di Uomo Selvaggio, Schembarts Carnival di Norimberga (1449-1530).

Urciat tornò a isolarsi cercando protezione nella natura, come gli consigliò la prima diffidenza all’incontro con gli uomini. Non per paura, bensì saggezza. L’Uomo Selvatico temeva ben poche cose. Una era il vento: quando tirava, spariva o stava come morto stecchito. Piangeva al bel tempo; cantava se pioveva. Squadrandolo, gli uomini lo scambiarono per un sempliciotto. Gli artisti afferrarono invece i suoi stati d’animo e ne fecero poesia. A metà XIII° secolo, nel sonetto Sì come il cervio che torna a morire, Chiaro Davanzati raccontò il suo pianto e riso in similitudine allo stato amoroso. Fazio degli Uberti fece lo stesso nel 1345, iniziando a scrivere il Dittamondo. Non più originale nel 1483 fu il Conte di Scandiano: lo descrisse pari, pari nel suo Orlando Innamorato (Libro I, canto XXIII, ottava 6). Se il tempo è bello non rallegrarti troppo: peggiorerà, prima o poi. Se fa brutto, presto tornerà il sole. L’Uomo Selvatico lo sapeva: per andare avanti nella vita, servono equilibrio di giudizio e modi – sebbene non ne avesse poi tanto, quando si trattava di mangiare o far l’amore. Gran cacciatore ghiotto di carne cruda (il tofu allora se lo mangiava giusto il Gran Khan), i boschi lo rimpinzavano ogni giorno.

Medaglione con Stemma di Assmannshausen supportato da coppie d’amanti e due Uomini Selvaggi, 1470 circa.

Non gli mancava moglie: si sposava con la Salvària e metteva su famiglia. Eppure, sia i prosciutti appesi alle travi dal norcino, sia quelli sotto le gonne delle donzelle gli montavano facile la fregola. Urciat razziava spesso dispense di villaggi e paesi, appena coglieva qualche buon odore di cucina. Sennò, non risparmiava imboscate a belle e imprudenti ragazze, per infrattarsi qualche ora con loro. Roba da far sembrare un agnellino il Lupo Cattivo di Cappuccetto Rosso.

Il tempo ha la qualità di cambiare la realtà. A lungo lo fece adeguato al naturale ritmo di gutta cavat lapidem; finché James Watt smise di farsi gli affari suoi ed espose in piazza la sua diavoleria a vapore. Le lancette degli orologi presero a disegnare vortici sempre più frenetici e stravolsero il mondo. In poco più di due secoli, se non sono bruciati per autocombustione da tanica di benzina e svedese, i boschi delle Alpi sono quasi tutti migrati nei documentari della famiglia Angela. Abbiamo la televisione; ma lo smog nasconde luna e stelle. Mandiamo robot su Marte; ma di misteriosa ci resta nemmeno l’Isola dei Famosi.

Su Terra 4.0 ma quasi 5, Urciat è nel cimitero dei cari estinti allo Zoom di Pinerolo, fra dodo e uro. Oppure no. Forse si è adattato. Forse si è semplicemente arreso alla nostra civiltà. Ha fatto un mutuo e comprato baita, stufa a pellet, micro-onde e Wi-Fi. S’è preso il divano con massaggio e la sera guarda la tivù. Anzi, forse si è messo a farla: magari in canotta e braccia scoperte, ispido più di un riccio e così arruffato da far venire un ictus a Ric Pipino. Forse sta lì, ieratico in poltroncina, a parlare di malgari e boscaioli; calice di vino senz’uva in mano e occhiali griffati su bandana da contestatario.

Mauro Corona, scrittore e opinionista televisivo.

Forse sta lì perché non le manda a dire, agli inquinatori pazzi che vogliono usare il sapone ogni giorno e così distruggono ambiente ed estinguono animali, più di un condannato per caccia fraudolenta che, per vendere qualche milionata di libri pieni di boschi, corvi e pascoli, forse qualche albero della Foresta Amazzonica avrà avuto bisogno venisse abbattuto, nidi compresi. Forse Urciat si è arreso all’evidenza e ha messo il frac, per fare la corte a una giornalista per quanto un po’ vintage. Ah no. Scusate, è solo Mauro Corona: il fake dell’Uomo Selvatico. Il selvaggio da salotto, bastian contrario di professione, buono ad attrarre share e gettoni da ospitata. Peccato, pazienza.

Urciat chissà dov’è, ben al riparo dalla nostra globalizzazione de-naturata. Sempre che, per disperazione, non abbia preso un barcone pure lui e cerchi di scappare lontano da noi.

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